Papa Francesco questa mattina ha ricevuto in udienza i vescovi ed i seminaristi delle Diocesi della Calabria.
Ai giovani aspiranti al presbiterato ha chiesto di stare attenti a non cadere nel carrierismo “che è una peste, è una delle forme di mondanità più brutte che possiamo avere”.
Ai vescovi della Calabria Papa Francesco ha chiesto di lavorare affinché ci sia un unico seminario regionale: “Non si tratta di una scelta logistica o numerica – ha specificato – ma finalizzata a maturare insieme una visione ecclesiale e un orizzonte della vita sacerdotale, invece che disperdere le forze moltiplicando i luoghi di formazione e tenendo in piedi piccole realtà con pochi seminaristi”.
Infine Francesco si è rivolto ai vescovi emeriti invitandoli ad imparare a congedarsi senza continuare a condizionare il cammino della diocesi”.
Cari fratelli Vescovi,
Cari Formatori e Seminaristi, buongiorno!
Ringrazio la Conferenza Episcopale Calabra per aver voluto questo pellegrinaggio a Roma con i seminaristi e sono contento di accogliervi. Grazie a S.E. Mons. Fortunato Morrone per le parole che mi ha rivolto. Saluto i Rettori, i Padri spirituali e i Formatori e i Vescovi, si capisce: a voi è stato affidato un compito importante, che richiede la fatica quotidiana dell’accompagnamento e del discernimento; grazie per tutto il lavoro, a volte nascosto e sofferto, che fate per i seminaristi. Grazie!
Anche se la vostra terra a volte sale alla ribalta della cronaca portando alla luce vecchie e nuove ferite, mi piace ricordare che siete figli dell’antica civiltà greca e ancora oggi custodite tesori culturali e spirituali che uniscono l’Oriente e l’Occidente. Omero, nell’Odissea, narra che Ulisse, verso la fine del suo viaggio, approdò ad un lembo di terra da cui poté ammirare la bellezza di due mari. Questo fa pensare alla vostra terra, gemma incastonata tra il Tirreno e lo Ionio. Ed essa brilla anche come luogo di spiritualità, che annovera importanti Santuari, figure di santi e di eremiti, nonché la presenza della Comunità greco-bizantina. Tuttavia, questo patrimonio religioso rischierebbe di restare solo un bel passato da ammirare, se non ci fosse ancora oggi, da parte vostra, un rinnovato impegno comune per promuovere l’evangelizzazione e la formazione sacerdotale.
Vorrei partire da una parola tratta dal Vangelo di Giovanni: «Rimasero con Lui» (Gv 1,39). Si riferisce ai primi discepoli che seguono Gesù e ci ricorda che questo è il fondamento di tutto: rimanere con il Signore e mettere Lui a fondamento del nostro ministero; altrimenti cercheremo soprattutto noi stessi e, pur impegnandoci in cose apparentemente buone, sarà per riempire il vuoto che abbiamo dentro. Così pregava un’illustre figura della vostra terra, il Servo di Dio Cassiodoro: «Precipitano in rovina tutte le cose che si allontanano dall’amore della tua maestà. Amarti è salvarsi […] l’averti perduto è morire» (Cassiodoro, De anima, XVIII). Questa è la vostra vocazione: fare strada con il Signore, l’amore del Signore. Stando attenti a non cadere nel carrierismo, che è una peste, è una delle forme di mondanità più brutte che possiamo avere, noi chierici, il carrierismo.
Vorrei però soffermarmi sulla domanda iniziale, che Gesù rivolge ai due discepoli quando si accorge che lo stanno seguendo: «Che cosa cercate?» (v. 38). Noi a volte cerchiamo una “ricetta” facile, Gesù invece inizia con una domanda che ci invita a guardarci dentro, per verificare le ragioni del nostro cammino. E oggi vorrei rivolgere a voi questa domanda.
Anzitutto ai seminaristi: che cosa cercate? Qual è il desiderio che vi ha spinto a uscire incontro al Signore e a seguirlo sulla via del sacerdozio? Cosa stai cercando in Seminario? E cosa cerchi nel sacerdozio? Dobbiamo chiedercelo, perché a volte succede che «dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa», in realtà cerchiamo «la gloria umana e il benessere personale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 93). È molto triste quando trovi sacerdoti che sono funzionari, che hanno dimenticato l’essere pastori di popolo e si sono trasformati in chierici di Stato, come quelli delle corti francesi, “monsieur l’Abbé”, erano chierici di Stato. È brutto quando si perde il senso sacerdotale. Magari cerchiamo il ministero sacerdotale come un rifugio dietro cui nasconderci o un ruolo per avere prestigio, invece che desiderare di essere pastori con lo stesso cuore compassionevole e misericordioso di Cristo. Ve lo chiedo con le stesse parole di uno dei vostri Annuari: volete essere sacerdoti clericali che non si sanno impastare con la creta dell’umanità sofferente, oppure essere come Gesù, segno della tenerezza del Padre? Ecco, ricordiamoci questo: il Seminario è il tempo in cui fare verità con noi stessi, lasciando cadere le maschere, i trucchi, le apparenze. E in questo processo di discernimento, lasciarvi lavorare dal Signore, che farà di voi pastori secondo il suo cuore. Perché il contrario è il mascherarsi, il truccarsi, l’apparire, che è proprio dei funzionari, non dei pastori di popolo ma dei chierici di Stato.
La domanda di Gesù, però, vorrei rivolgerla anche ai fratelli Vescovi: che cosa cercate? Che cosa desiderate per il futuro della vostra terra, quale Chiesa sognate? E quale figura di prete immaginate per il vostro popolo? Perché voi siete i responsabili della formazione di questi ragazzi: con quale figura li state formando? Questo discernimento è oggi più che mai necessario, perché nel tempo in cui è tramontata una certa cristianità del passato, si è aperta davanti a noi una nuova stagione ecclesiale, che ha richiesto e richiede ancora una riflessione anche sulla figura e sul ministero del prete. Non possiamo più pensarlo come un pastore solitario, chiuso nel recinto parrocchiale o in gruppi di pastori chiusi; occorre unire le forze e mettere in comune le idee, i cuori, per affrontare alcune sfide pastorali che sono ormai trasversali a tutte le Chiese diocesane di una Regione. Penso, per esempio, all’evangelizzazione dei giovani; ai percorsi di iniziazione cristiana; alla pietà popolare – voi avete una ricca pietà popolare -, che ha bisogno di scelte unitarie ispirate al Vangelo; ma penso anche alle esigenze della carità e alla promozione della cultura della legalità. Quest’ultimo lo sottolineo: la cultura della legalità. Come vanno i vostri tribunali? Come va l’esercizio della giustizia nella vostra diocesi?
Tutto ciò chiama a formare preti che, pur provenendo dai propri contesti di appartenenza, sappiano coltivare una visione comune del territorio e abbiano una formazione umana, spirituale e teologica unitaria. Perciò, vorrei chiedere a voi Vescovi di fare una scelta chiara sulla formazione sacerdotale: orientare tutte le energie umane, spirituali e teologiche in un unico Seminario. Dico unico. Possono essere due ma sommati: orientare verso l’unità, con tutte le variabili che ci possono essere ma arrivare lì. Questo non vuol dire annientare i seminari; vedete come fare questa unità. Non si tratta di una scelta logistica o meramente numerica, ma finalizzata a maturare insieme una visione ecclesiale e un orizzonte della vita sacerdotale, invece che disperdere le forze moltiplicando i luoghi di formazione e tenendo in piedi piccole realtà con pochi seminaristi. Un seminario di 4, 5, 10 non è un seminario, non si formano seminaristi; un seminario di 100 è anonimo, non forma i seminaristi… Ci vogliono piccole comunità, anche dentro un grande seminario, o un seminario a misura umana; che sia il riflesso del collegio presbiteriale. È un discernimento non facile da fare, non facile. Ma si deve fare e si devono prendere decisioni su questo. Non sarà Roma a dirvi cosa dovete fare, perché il carisma lo avete voi. Noi diamo le idee, gli orientamenti, i consigli, ma il carisma lo avete voi, lo Spirito Santo lo avete voi per questo. Se Roma incominciasse a prendere le decisioni sarebbe uno schiaffo allo Spirito Santo, che lavora nelle Chiese particolari.
Questo processo si sta avviando in molte parti del mondo ed è naturale che vi sia qualche resistenza e qualche fatica nel compiere questo passo. Ma ricordiamoci che l’attaccamento alla nostra storia e ai luoghi significativi della nostra tradizione non deve impedire alla novità dello Spirito di tracciare sentieri da percorrere, specialmente quando il cammino della Chiesa lo richiede. Il Signore ci domanda l’atteggiamento della vigilanza, perché non ci succeda “come ai giorni di Noè”, quando la gente, tutta intenta alle cose di sempre, non si accorse che arrivava il diluvio (cfr Lc 17,26-27). Abbiamo bisogno di occhi aperti e cuore attento per cogliere i segni dei tempi e guardare avanti! Raccomando a tutti, non solo ai vescovi, raccomando di discernere cosa vuole lo Spirito Santo per le vostre Chiese. E questo lo devono fare i Vescovi – la decisione –, ma lo dovete fare tutti voi per dire ai Vescovi cosa sentite e come, le idee… È tutto il corpo della diocesi che deve aiutare il Vescovo in questo discernimento. Poi lui si assume la responsabilità della decisione.
Lo dico, questo, specialmente a voi Vescovi, che sognate il bene della vostra terra e avete a cuore la formazione dei futuri preti: per favore, non lasciatevi paralizzare dalla nostalgia e non restate prigionieri dei provincialismi che fanno tanto male! E voi, Vescovi emeriti, non fate mancare nel silenzio e nella preghiera il vostro sostegno a questo processo. Dico nel silenzio e nella preghiera perché, quando un Pastore ha concluso il proprio mandato, emerge il suo profilo spirituale e il modo in cui ha servito la Chiesa: si vede se ha imparato a congedarsi «spogliandosi … della pretesa di essere indispensabile» (Lett. ap. Imparare a congedarsi), oppure se continua a cercare spazi e a condizionare il cammino della diocesi. Chi è emerito è chiamato a servire con gratitudine la Chiesa nel modo che si addice a questo suo stato. Non è facile congedarsi; a tutti è richiesto uno sforzo per congedarsi. Ho scritto una lettera sull’argomento che incominciava con queste parole: “Imparare a congedarsi”, senza tornare a ficcare il naso, imparare a congedarsi e mantenere quella presenza assente, quella presenza lontana, per cui si sa che l’Emerito è lì ma prega per la Chiesa, è vicino ma non entra nel gioco. Non è facile. È una grazia dello Spirito imparare a congedarsi.
Carissimi, proprio come oggi, il 27 marzo 1416, nasceva il vostro Santo Patrono, Francesco di Paola: è bello che siate qui proprio in questa data! Sul letto di morte egli disse ai suoi confratelli che non aveva alcun tesoro da lasciare e li esortò: «Amatevi l’un altro e fate tutte le vostre cose in carità». Questo si aspetta da voi la Calabria: che tutto si faccia in carità, in unità, in fraternità. E una cosa vorrei dire: state attenti ai tribunali, perché lì tante volte nasce la corruzione. State attenti, state attenti ai tribunali. E che ci sia un cambiamento anche nei tribunali.
Vi ringrazio per la vostra visita. Siete una bella Comunità e vi incoraggio ad essere, per la vostra terra, lievito di Vangelo e segno vivo di speranza. Camminate insieme, e la formazione sia in un unico Seminario, o in due o in tre, ma insieme, non isolati in piccoli gruppetti. Questa parola “insieme” è il messaggio, come fare l’insieme vedete voi che siete su questa strada; però insieme, non isolati, non come tribù diverse, insieme, con la modalità che voi scegliete. Siate coraggiosi in questa decisione, siate coraggiosi! Una cosa che a me colpisce qui a Roma, soprattutto quando devo andare in aeroporto, è passare davanti a quelle case di formazione che in un certo periodo – parlo degli anni ’60, ’70 –, il periodo in cui fiorivano le vocazioni, erano le grandi case di formazione: oggi sono tutte vuote. È difficile. Fate uno stile di formazione che sia vivo sempre e che non dipenda dall’esteriorità ma dalla forza dello Spirito Santo; e su questo prendete decisioni con coraggio, con coraggio. Il Signore vi accompagnerà sempre. Insieme, nella fraternità. E andate avanti con fiducia e con gioia! La Madonna vi accompagni e vi custodisca. La Madonna è madre, e le mamme sanno come fare, sanno meglio di noi. Vi benedico tutti di cuore. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me, a favore, non contro! Grazie.